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La mobilità sostenibile è un diritto negato

  • Categoria dell'articolo:Bologna
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Proprio in questi giorni, il Governo ha azzerato i fondi destinati alla realizzazione di nuovi percorsi ciclabili nelle città italiane. Eppure, la crisi energetica – alla quale il Governo Meloni dice di dedicare gran parte delle risorse previste dalla legge finanziaria – rappresenta un’ulteriore, indiscutibile ragione per rafforzare la mobilità dolce e collettiva che, come hanno dimostrato anche recenti studi sul costo annuo del possesso di un’automobile, è infinitamente più economica di quella a motore.

Lo è per le famiglie, che a causa di un sistema che privilegia il settore automobilistico e disincentiva altre forme di mobilità, sono costrette ad accollarsi spese per migliaia di euro all’anno, erodendo i salari. Ne è metafora un vecchio slogan – lavori per comprarti la macchina per andare a lavorare – che fa chiarezza: il tempo di viaggio tra casa e lavoro, e i suoi costi, sono un prezzo che decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori sono costrette/i a pagare perché non hanno a disposizione alternative realistiche, efficienti, confortevoli ed economiche.

Ma lo è, anche, per le casse pubbliche. Perché costruire e mantenere strade, piazze, parcheggi, infrastrutture è un costo collettivo che ci accolliamo per perpetuare questo sistema trasportistico che costringe una moltitudine di pendolari a passare ore della propria vita nella solitudine della propria automobile ferma nel traffico. Un groviglio d’asfalto su cui, tra l’altro, fanno profitti senza pagare alcun costo (scaricato sulla collettività) grandi multinazionali come le piattaforme di e-commerce, oltre naturalmente all’industria fossile e a quella automobilistica.

Basterebbe quindi la dimensione economica per far emergere i vantaggi della mobilità sostenibile. E, invece, ce ne sono molti altri. La salute, innanzitutto: mentre le istituzioni bolognesi rifiutano di fare una Valutazione d’Impatto Sanitario per conoscere le ricadute della presenza del Passante di Mezzo in città, uno studio dell’Università di Bologna, dell’Università di Bari e del CNR ha dimostrato che tra i principali elementi in grado di indurre la proliferazione tumorale c’è l’inquinamento ambientale. L’Agenzia Europea per l’Ambiente, poi, ci ricorda che “i trasporti rappresentano una delle principali fonti di pressioni ambientali nell’Unione Europea, contribuendo ai cambiamenti climatici, all’inquinamento atmosferico e al rumore” e, in un recente studio, ha reso noto che, a causa dell’inquinamento, nel 2020 sono morte prematuramente in Europa 311 mila persone, di cui 52 mila (1/6 di tutta Eurppa) solo in Italia.

E poi c’è il cambiamento climatico. Il rapporto Mobilitaria 2022 ci dice che la percentuale di emissioni di C02 dovuta al settore dei trasporti su strada ha rappresentato, dal 2015 al 2019, il 50% del totale delle emissioni, e, secondo il rapporto Audimob, nella città di Bologna negli ultimi 20 anni le emissioni di Co2 prodotte dal settore dei trasporti è aumentato del 30%.

Infine, c’è la qualità delle nostre vite. Il Centro di Ricerca Urban Cycling Institute di Amsterdam dimostra da anni che la mobilità sostenibile migliora la qualità della vita individuale, e ha effetti positivi sulla dimensione sociale delle aree urbane, cambiando gli equilibri nella gestione degli spazi pubblici e offrendo nuove occasioni economiche e di socialità alle aree urbane.

Ecco perché la mobilità sostenibile non rappresenta un’opzione, ma uno dei diritti sui quali fondare il benessere collettivo e la qualità delle nostre vite. Muoversi, infatti, è un bisogno primario, perché ci spostiamo per andare a lavorare o per comprare beni e servizi, per curarci e per curare le nostre relazioni sociali, per studiare e per vivere le tante dimensioni culturali delle nostre comunità. Questo bisogno deve trovare risposte accessibili a tutte/i (mentre, oggi, è causa di disuguaglianze), sicure, confortevoli. E deve garantirci salute e benessere, e non essere una delle principali cause dell’insorgere di malattie e dei cambiamenti climatici che mettono a rischio il nostro futuro.

Secondo lo stesso Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) di Bologna, nella nostra città il 16% degli spostamenti in auto è inferiore al km, mentre il 33% è tra 1 e 5 km. Lasciando da parte le leggende che vorrebbero le/i bolognesi più pigre/i delle/dei tedeschi, danesi e olandesi, questi numeri ci dicono che, se ci fosse una politica capace di privilegiare la mobilità dolce, migliaia di persone potrebbero spostarsi quotidianamente rinunciando all’automobile. Allo stesso tempo, “il 45% della domanda su mezzo privato che interessa giornalmente il capoluogo è espressa da cittadini della Città Metropolitana che non risiedono nel Comune di Bologna”; quante di queste persone potrebbero viaggiare in maniera più economica, confortevole, sicura e sostenibile se fosse completato il Sistema Ferroviario Metropolitano e fossero rafforzati i trasporti collettivi, anche con navette a chiamata nei Comuni appenninici?

Il documento istituzionale ci racconta anche che “quasi tutto lo spazio libero sulle strade del centro, se non pedonalizzato, è attualmente ‘catturato’ dalla sosta dei residenti”: a Bologna, infatti, c’è un’automobile ogni 2 abitanti, inclusi minori e non patentati, e questo comporta l’occupazione di gran parte degli spazi pubblici che, altrimenti, potrebbero essere a disposizione delle/dei bambini, della socialità degli anziani, del piccolo commercio di prossimità e di tante altre attività sociali.

Numeri che ci confermano l’urgenza di aprire uno spazio di rivendicazione conflittuale sulla mobilità, sia come diritto alla mobilità sostenibile, sia come nuova visione dello spazio pubblico. Perché, nell’opporci a grandi progetti dannosi come l’allargamento del Passante di Mezzo, non possiamo non interrogarci sulle strade per costruire beni collettivi capaci di migliorare le nostre vite; e tra questi c’è la mobilità sostenibile, che deve essere accessibile, gratuita, sicura, confortevole e veloce. Di questo, con tante e tanti, abbiamo iniziato a discutere il 1° dicembre con un’assemblea pubblica, e lungo questi crinali vogliamo continuare a riflettere, anche guardando oltre Bologna.