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Da Bologna 30 a Bologna 2030: costruire un’altra città

  • Categoria dell'articolo:Bologna
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In queste settimane, la scelta dell’amministrazione di Bologna di imporre il limite di velocità a 30km/h in gran parte del territorio comunale è diventato un caso nazionale. Il Ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ne ha fatto una questione ideologica, cercando di trasformare una scelta amministrativa in un campo di contrapposizione politica nel quale sventolare il primato della libertà individuale: il SUV è mio e a quanto vado lo decido io.

In realtà, la questione del traffico urbano è molto più complessa, e quella di limitare i limiti di velocità dovrebbe essere una scena di buon senso da applicare ovunque ci siano persone: perché è vero – e lo dimostrano studi empirici – che, in caso di impatto, la velocità fa la differenza tra la vita e la morte.

Detto che la scelta fatta da Bologna – preceduta, in ciò, da tante città europee – è sensata, quello dei limiti di velocità dovrebbe rappresentare il punto di partenza per costruire un’altra Bologna nel 2030. Perché, se è vero che questa scelta serve a tutelare la salute degli abitanti, questa tutela deve essere portata fino in fondo, intervenendo sul problema complessivo. E il problema complessivo è che le nostre città – e non solo Bologna – sono diventate negli ultimi decenni enormi parcheggi a cielo aperto, e le funzioni urbane sono state progettate e implementate a partire dal flusso delle automobili.

Se il tema è garantire la salute, per esempio, non possiamo fare a meno di considerare il fatto che la Pianura Padana è una delle zone più inquinate d’Europa, per molti giorni all’anno, una vera e propria camera a gas. Questo non è dovuto solo alla mobilità, e ovviamente non riguarda solo Bologna. Ma è un dato di fatto che il trasporto occupi un posto in prima fila nel rendere insalubre l’aria che respiriamo, e limitare i limiti di velocità non ha impatti considerevoli su questo aspetto.  Di impatti, invece, ne hanno e come le scelte urbanistiche e infrastrutturali: costruire nuove bretelle che dalle valli portano le automobili nel centro cittadino, allargare le tangenziali e costruire nuove autostrade provoca l’aumento del traffico e quindi dell’inquinamento.

Se Bologna 30 deve essere lo spazio politico per sfidare il governo di Salvini, il campo di battaglia non può essere una trincea difensiva, ma piuttosto la costruzione di nuovi processi capaci di rivoluzionare la città considerando insieme le sue dimensioni ecologiche, sociali, e ambientali. Da questo punto di vista, le tante città europee prese ad esempio per valorizzare la scelta di limitare la velocità ci insegnano tante cose.

Possiamo affermare che l’inquinamento in Pianura Padana richiede misure rivoluzionarie, e che Bologna deve giocare un ruolo in tutto questo? Che il numero di automobili in circolazione deve diminuire, e che per farlo serve garantire a tutte sistemi di mobilità efficienti ed efficaci? Che il tram deve essere un’infrastruttura che pedonalizza la città, e che ogni quartiere dovrebbe avere ampie aree pedonali? Che il trasporto pubblico non solo va potenziato, ma deve essere gratuito per rappresentare l’infrastruttura sociale delle relazioni cittadine? Che, di fronte alle ondate di calore sempre più frequenti, un albero vale più di un posto auto? Che per muoversi in bicicletta servono parcheggi per le due ruote e strade senza traffico? Che il taxi non deve essere il privilegio di chi può permettersi di pagare la tariffa per raggiungere piazza Maggiore in auto, ma un servizio capace di garantire gli spostamenti anche a chi ha meno mobilità?

A partire da queste domande, possiamo guardare a Bologna 30 come a un punto di partenza e a uno spazio politico dal quale immaginare una città più giusta e vivibile, Ma, va da sé, queste domande ci dicono che le scelte di campo vanno fatte anche sulle grandi infrastrutture, come il Passante di Mezzo. Se, come è vero, Bologna è un collo di bottiglia nel panorama nazionale dei trasporti, questa va considerata un’opportunità: è in quel collo di bottiglia che la città che vuol essere considerata la più progressista d’Italia può costruire lo spazio politico per sfidare il governo sul terreno del cambiamento del sistema complessivo dei trasporti e della mobilità; se non qui e ora, dove e quando?