Al momento stai visualizzando Fuori dalla West Bank, fuori dalle nostre città

Fuori dalla West Bank, fuori dalle nostre città

  • Categoria dell'articolo:Mondo
  • Tempo di lettura:3 mins read

Un recente podcast di Michela Chimenti, Re:Tour prodotto da Lifegate, mostra chiaramente come l’industria del turismo viene utilizzata dallo stato di Israele per ottenere una legittimità alla sua politica genocida. Pochi giorni fa il report della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha enfatizzato questo collegamento in un report di feroce condanna: From economy of occupation to economy of genocide. Il report menziona le principali compagnie che, in ogni ambito economico (finanziario, militare, logistico, tecnologico, agroalimentare…) stanno lucrando sul genocidio che sta avvenendo in Palestina.

Nel testo alcuni paragrafi sono dedicati all’Occupation Tourism con la menzione di due nomi in particolare: Aibnb e Booking. In pochi anni le due compagnie hanno infatti più che raddoppiato i loro annunci nei territori occupati. Non si tratta di un’operazione neutra: «questi annunci sono connessi alla restrizione degli accessi dei palestinesi alla terra e mettono a rischio i villaggi vicini. A Tekoa, Aibnb favorisce la promozione di una “calda e amorevole comunità”, facendo whitewashing della violenza dei coloni contro il vicino villaggio palestinese di Tuqu» [p. 19].

Della complicità di queste piattaforme con i piani di pulizia etnica israeliana se ne parla già da anni. A questo proposito, nel 2018 Amnesty International faceva riferimento anche al TripAdvisor e Expedia. Addirittura Airbnb fu inizialmente costretta ad un dietrofront cancellando i suoi annunci, salvo poi ritirare la sua decisione, come denunciato dalla rete BDS Italia. Ciò che segna un passo importante è che queste compagnie vengano esplicitamente citate in un rapporto prodotto da un organo delle Nazioni Unite in quanto ritenute responsabili di collaborare ad una politica genocida. Le compagnie private infatti possono e devono finire sotto accusa per complicità di crimini internazionali e per questo il rapporto chiede agli stati membri di «rinforzare l’obbligo [per le compagnie] di rispondere delle proprie responsabilità, assicurandosi che affrontino conseguenze legali per il loro coinvolgimento nelle serie violazioni della legge internazionale». Nelle conclusioni si arriva quindi alla richiesta di esercitare pressioni affinché ci siano «boicottaggi, disinvestimenti, sanzioni» sia a livello internazionale che locale.

E allora, tocca tornare a noi. Leggere in sinergia la giustizia sociale e giustizia climatica per noi vuol dire anche denunciare, come abbiamo fatto, come le piattaforme del turismo facciano da trampolino per un consumo di suolo in continuo aumento e per la produzione di città sempre più escludenti da un punto di vista economico e non solo. Aggiungiamo ora un ulteriore elemento: bloccare la macchina del turismo, fermare l’estrattivismo delle piattaforme turistiche, non è solo un modo per fermare la presa alla gola dei nostri territori, ma una forma di opposizione al genocidio in corso.