In questi mesi, attraverso decine di incontri, assemblee, seminari, eventi, laboratori, abbiamo costruito suggestioni per creare spazi delle ecologie urbane, partendo dalla consapevolezza che la transizione ecologica dall’alto ha fallito. Verbi come desigillare e forestare lo spazio urbano, che rieccheggiano in tutto il mondo, hanno attraversato iniziative e manifestazioni, e sono diventate parole d’ordine del Climate Pride del 12 aprile e pratiche intorno alle quali costruire la nostra idea di futuro. Insieme a tanti gruppi collettivi, abbiamo lanciato una sfida alla città: fare la foresta delle ecologie urbane. Collettivamente, abbiamo anche individuato un’area – l’ormai ex Ippodromo – nel quale sperimentare queste pratiche. 

Abbiamo sintetizzato tutto ciò in questa pagina. Per uno sguardo veloce, scorri le slide; se vuoi saperne di più, leggi i prossimi paragrafi.

Le slide

La transizione dall'alto ha fallito

Nel 2024 la temperatura media globale è stata superiore di 1.5 °C superiore alle medie storiche. Si è quindi superata la soglia più ottimistica posta dalla Conferenza sul clima di Parigi. Le ultime COP sono state ospitate da Paesi autoritari che sostengono i propri apparati statali grazie ai proventi delle fonti fossili. Alluvioni catastrofiche, siccità, incendi incontrollabili, ondate di calore ed eventi estremi hanno attraversato il nostro Pianeta.

Anche Bologna ha sperimentato la drammaticità del tempo dell’alluvione permanente: le piogge a cui abbiamo assistito, infatti, sono la nuova normalità. I governi investono in armamenti e infrastrutture che ci legano a fonti energetiche climalteranti, mentre il consumo di suolo non si arresta. Le città – inclusa Bologna – competono per premi internazionali sulla sostenibilità, mentre continuano a perseguire politiche che turistificano e mettono a valore lo spazio urbano. La transizione dall’alto ha fallito.

foto di mIchele lapini

nonostante le alluvioni

Si continua a investire su grandi infrastrutture di cemento e asfalto

Si realizzano nuove infrastrutture per lo sfruttamento delle fonti fossili.

Il territorio subisce il dissesto idrogeologico.

Un fenomeno sociale

La crisi climatica è fortemente legata alle disuguaglianze e alle ingiustizie sociali che viviamo. Affrontare le ondate di calore, difendere il suolo per affrontare meglio gli eventi estremi, costruire le condizioni per ridurre le emissioni climalteranti, sono azioni che devono essere progettate e implementate all’interno della dimensione sociale, sfidando le politiche che garantiscono gli interessi economici di chi mette il profitto prima delle collettività.

Transizione dal basso

Costruire la transizione dal basso significa ripensare radicalmente lo spazio urbano a partire dai nostri bisogni. Significa anche assumere la pratica del fare come strumento per cambiare i rapporti di forza: a partire dal desigillare e dal forestare, riprenderci le città e vivere lo spazio urbano a partire dai bisogni di chi lo abita. Transizione dal basso significa produrre un altro spazio urbano, uno spazio socialmente differente capace di rispondere a logiche differenti.

Spazio comune

Tutto questo richiede altre concettualizzazioni e altri immaginari, da costruire all’interno di altre pratiche spaziali capaci di dare concretezza alla suggestione del common

Lo spazio comune è spazio condiviso, mentre lo spazio pubblico, in quanto spazio contrassegnato dalla presenza di un’autorità dominante, è spazio dato alle persone secondo determinati termini, lo spazio comune è spazio preso dalle persone. Ecco perché costruire transizioni dal basso: “in termini di riappropriazione della città gli spazi comuni costituiscono quei nodi spaziali attraverso i quali la metropoli può tornare a essere uno spazio cruciale della politica” (Stavidres).

Ci sono tanti insegnamenti da imparare, tante competenze da condividere...

Una transizione dal basso può alimentarsi di suggestioni diverse. Noi vogliamo costruire questo processo a partire dalle lezioni di alcune esperienze politico-sociali che ci sembrano particolarmente rilevanti. 

GKN e il piano di reindustrializzazione dal basso

Il piano di reindustrializzazione dal basso di GKN ha l’ambizione di riportare lavoro dove oggi ci sono licenziamenti, portare una produzione ambientalmente all’avanguardia dove ieri si produceva componentistica per macchine termiche. La reindustrializzazione dal basso è il frutto della spinta solidale dei 4 anni di vertenza, e delle competenze di ricercatori e ricercatrici messe al servizio della lotta.

Mondeggi bene comune

 Mondeggi Bene Comune è un’esperienza singolare di occupazione, uso civico e riparazione ecologica del territorio. Un’esperienza che dura da dieci anni, e che esplora l’intreccio tra beni comuni e agroecologia, nel tentativo di offrire un punto di vista che metta al centro il ruolo delle pratiche quotidiane di rigenerazione materiale nei processi di transizione socio-ecologica dei territori.

La Floating University di Berlino

 Questo peculiare esperimento spaziale, situato in un angolo tranquillo di Kreuzberg, a Berlino, è un centro di produzione di conoscenza architettonica di altissimo livello dal 2018. Il suo design libero, una costellazione in continua evoluzione di strutture aperte in legno, attira alcuni dei migliori pensatori nel campo dell’architettura.

Carracci Casa Comune

 Carracci Casa Comune è molto più di un progetto abitativo: in 16 mesi, ha trasformato tre civici abbandonati in case accoglienti per 111 persone, provenienti da 12 paesi diversi, tra cui 40 minori. Caracci Casa Comune riflette intorno al dare nuova vita a ciò che già esiste, evitando la speculazione edilizia e il consumo di suolo.

...e percorsi da proseguire

Con l’obiettivo di intrecciare i saperi dell’accademia con quelli della strada, e connettere spazio urbano e Appennino,  dal 2024, Bologna for Climate Justice organizza la Climate Justice University.

Nelle prime due edizioni, l’iniziativa ha visto la partecipazione di più di 70 persone (85% delle quali tra 20 e 30 anni) e i contributi di più di 50 interventi tra ricercatrici, ricercatori e persone che hanno esperienze e pratiche ecologiche da condividere.

Il processo di riflessione intorno agli spazi delle ecologie urbane ha coinvolto nell’autunno del 2024 decine di persone.

Tra ottobre e novembre, infatti, si sono svolti presso il Centro Sociale della Pace tre incontri pubblici che hanno visto la partecipazione di più di 150 persone: di queste, il 74% ha meno di 30 anni e alcuna esperienza di attivismo alle spalle, a dimostrazione dell’interesse che suscita la proposta di costruire percorsi volti alle pratiche ecologiche collettive.

L'ecologia collettiva

La Climate Justice University nasce dopo un percorso collettivo di più di un anno che ha coinvolto decine di ricercatrici e ricercatori, producendo un instant book collettivo sulla giustizia climatica e sociale: un laboratorio sociale interdisciplinare nel quale la ‘scienza della strada’, fatta di saperi ed esperienze collettive, si contamina con la ‘scienza del laboratorio’, cercando di portare nel nostro vivere quotidiano idee concrete e realizzabili per la nostra città. Questo processo ha contribuito alla costruzione di un documento di approfondimento su cosa significa costruire pratiche per la giustizia climatica e sociale nello spazio urbano, intitolato Road to Climate Justice, e dato vita all’infrastruttura sociale necessaria per costruire la Climate Justice University

A partire dalla considerazione che “la crisi climatica è una questione primariamente sociale e politica”, da due anni la Climate Justice University indaga nuove prospettive attraverso workshop, seminari, laboratori, e una Summer School residenziale di 3 giorni nell’Appennino bolognese. Questa configurazione ha contribuito a costruire una relazione stabile e progettuale tra Bologna e il suo Appennino, mettendo in rete differenti esperienze sociali e politiche attraverso la condivisione di conoscenze e saperi. I momenti di discussione e confronto all’interno delle prima edizione della Climate Justice University hanno fatto emergere il bisogno di costruire spazi delle ecologie urbane nei quali costruire relazioni, pratiche, conoscenze collettive.

verso le ecologie urbane

Il processo di riflessione intorno agli spazi delle ecologie urbane ha coinvolto nell’autunno del 2024 decine di persone. Tra ottobre e novembre, infatti, si sono svolti presso il Centro Sociale della Pace tre incontri pubblici che hanno visto la partecipazione di più di 150 persone: di queste, il 74% ha meno di 30 anni e alcuna esperienza di attivismo alle spalle, a dimostrazione dell’interesse che suscita la proposta di costruire percorsi volti alle pratiche ecologiche collettive.

I tre incontri, articolati in momenti di plenaria e discussioni in gruppi di lavoro, hanno approfondito le ecologie urbane a partire da tre verbi principali:

  • cucinare: non è soltanto preparare del cibo buono, ma anche rafforzare le relazioni sociali e politiche che si creano intorno a una tavola imbandita, gli scambi e le connessioni con le aree agricole e coloro che ci lavorano, anche ripensando il senso culturale del cibo in una città più volte associata a un mangificio. 
  • desigillare: non soltanto fermare il consumo di suolo, che anche dopo le alluvioni è proseguito come se nulla fosse successo, ma anche ripensare lo spazio urbano togliendo asfalto e cemento ovunque sia possibile; desigillare significa fare spazio al suolo, all’acqua, alla vegetazione, alle persone, ma anche ripensare la gestione dello spazio pubblico e della mobilità, perché per avere boschi e giardini al posto di strade e asfalto dobbiamo diminuire il numero di mezzi privati a motore in circolazione garantendo allo stesso tempo il diritto di tutte a muoversi liberamente. 
  • forestare: non soltanto riempire lo spazio urbano di alberi, ma anche costruire percorsi per la diffusione e la moltiplicazione degli orti urbani, delle ombreggiature verdi, dei reticoli di biodiversità; vuol dire, anche, recuperare un rapporto urbano con l’acqua in un tempo in cui nelle nostre città quest’ultima è drammaticamente protagonista delle alluvioni.

A partire degli incontri e dalla discussione intorno a questi tre verbi, sono nati dei laboratori collettivi che hanno iniziato a sperimentare la loro pratica, e la costruzione del primo Climate Pride di Bologna che ha coinvolto una pluralità di soggettività, dimostrando che ‘ecologie urbane’ non sono soltanto parchi e aree verdi, ma anche le relazioni dal basso che migliorano la qualità della vita collettiva nello spazio urbano costruendo solidarietà, convergenze, cooperazioni, relazioni. 

foto di riccardo ferroni

Il 12 aprile 2025, migliaia di persone hanno partecipato al primo Climate Pride di Bologna, affermando che “agli intrecci mortiferi che ci trascinano nella crisi climatica, vogliamo contrapporre intrecci collettivi capaci di darci gli strumenti di ri-progettare collettivamente i nostri spazi di vita: dal piano di reindustrializzazione dal basso di GKN alle pratiche ecologiche urbane, dalle esperienze agroecologiche alle rivendicazioni per il diritto all’abitare, attraverso l’opposizione alla guerra come strumento per consolidare egemonie socio-economiche, vogliamo rafforzare le nostre convergenze per allargare quegli interstizi sociali a partire dai quali costruire altrove possibili”. 

Le azioni per costruire ecologie urbane

Desigillare e forestare sono verbi che hanno iniziato a essere coniugati in tutto il mondo. Nella città colombiana di Medellin, per esempio, nell’ultimo decennio è stato messo in pratica un programma di forestazione urbana – attraverso la realizzazione di 30 corridoi verdi – che ha già prodotto la diminuzione di circa 2°C delle temperature medie. Abbassare la temperatura media dello spazio urbano significa produrre politiche climatiche per tutte, e non soltanto per chi ha i mezzi economici per raffrescare i propri ambienti domestici, mentre secondo molti studi la gestione delle possibili forme di adattamento climatico sarà un fattore generatore di tensioni e conflitti sociali anche in Europa nei prossimi anni.

Per costruire una transizione dal basso vogliamo dare vita a collettività di pratiche che possano riportare nei quartieri della città conoscenze, saperi, strumenti e metodologie. Il fare, sperimentare, per poi portare nei quartieri e nei luoghi di vita e socialità. Fare la foresta delle ecologie urbane significa prima di tutto intendere le ecologie come pratiche politiche relazionali. Quando parliamo di ecologie, infatti, ci riferiamo alle relazioni che possiamo generare, ai nostri spazi di vita collettiva. Al diritto di ognuna di vivere una vita bella e piena, senza dover temere un licenziamento o dover lottare per bilanciare lavoro produttivo e lavoro riproduttivo.
Per queste ragioni, nel costruire la foresta delle ecologie urbane vanno ricercate le intersezioni e le convergenze, e attivate forme e pratiche differenti capaci di rispondere alle pluralità di bisogni che costiutiscono il nostro spazio sociale.

A Bologna, vogliamo costruire ecologie urbane dal basso a partire da queste azioni.

La suggestione: sperimentare la foresta delle ecologie urbane a Bologna

Le azioni descritte nei paragrafi precedenti hanno bisogno di attraversare il tessuto urbano nella sua complessità. Tuttavia, servono spazi delle ecologie urbane: luoghi dove testare, provare, sperimentare, imparare, socializzare, condividere. 

Nel percorso di costruzione del Climate Pride del 12 aprile, l’assemblea cittadina ha lanciato una suggestione alla città: fare dell’ormai ex Ippodromo la foresta delle ecologie urbane, producendo un ecosistema altro, capace di rimettere al centro la biodiversità sociale del nostro tessuto collettivo e la sua capacità di (ri)generare commons urbani.

questi disegni sono di michelle muratori

La scelta dell’area dell’ormai ex Ippodromo per suggestionare questo processo risponde ad alcune questioni politiche e sociali:

L’ex Ippodromo è una grande area prevalentemente già verde – ma non forestata – che si libera dalla sua attuale destinazione d’uso. E’ perciò uno spazio nella disponibilità di processi collettivi da costruire dal basso.

L’ex Ippodromo è collocato in un quartiere popoloso e socialmente vivace, con forti contraddizioni sociali, ma anche un tessuto collettivo che produce culture, relazioni, iniziative.

L’area dell’ex Ippodromo si trova in una zona della città fortemente infrastrutturata e priva di importanti aree verdi.

Pur essendo in una zona periferica, l’area dell’ex Ippodromo è ben connessa alle infrastrutture della mobilità dolce e permette di essere raggiunta con il trasporto pubblico o a piedi. E’ inoltre accessibile da diversi lati, caratteristica che consente di garantire la piena fruibilità e attraversabilità pubblica.

La necessità di costruire uno spazio aperto, attraversabile, realizzato e gestito collettivamente e dal basso, nel quale sperimentare, condividere e socializzare pratiche delle ecologie urbane che possano essere portate in tutta la città, ha l’ambizione di fare vivere queste azioni in un’area con queste caratteristiche.