Secondo le stime, per ogni 1.000 mq di superficie depavimentata, potrebbero essere assorbiti ogni anno circa 1 milione di litri d’acqua, riducendo il deflusso e filtrando gli inquinanti, contribuendo così alla ricarica della falda acquifera. Desigillare rappresenta quindi una priorità per tutelare la popolazione e avviare progetti di adattamento climatico in ottica di equità e giustizia sociale. Le esperienze che vanno in questo senso si moltiplicano: negli Stati Uniti da tempo è attivo il movimento Depave che ha l’obiettivo di supportare le comunità che vogliono vincere le ingiustizie sociali e ambientali e adattarsi al cambiamento climatico attraverso la depavimentazione di contesti urbani; in Canada è nato il progetto Reep Green Solution, mentre nei Paesi Bassi è stata promossa la competizione “Tegelwippen”, che ha l’obiettivo di rimuovere pavimentazioni artificiali per sostituirle con terra e piante. A Lecce, presso le Manifatture Knos, il collettivo COLOCO – che riunisce paesaggisti, urbanisti, botanici, giardinieri e artisti – ha promosso il progetto sperimentale Asfalto Mon Amour.
Cosa vogliamo fare a Bologna:
- laboratori pratici di desigillazione, per promuovere una conoscenza condivisa delle modalità e degli strumenti per rimuovere asfalto e cemento dallo spazio urbano.
- mappatura dal basso dello spazio pubblico desigillabile, attraverso workshop e piattaforme condivise per individuare tutti i luoghi di Bologna nei quali asfalto e cemento potrebbero essere rimossi per fare spazio al suolo, all’acqua, alla vegetazione.
- contest annuale di desigillazione spazio privato, ovvero una giornata collaborativa nel quale coinvolgere chiunque voglia contribuire alla desigillazione dello spazio urbano a farlo in luoghi privati proposti dai proprietari e individuati collettivamente.
Forestare non vuol dire solo aumentare la presenza del verde urbano, ma anche costruire nuovi metabolismi tra cultura e natura. Nella Bologna che immaginiamo, in ogni luogo, deve poter svilupparsi questa relazione per troppo tempo “estirpata”.
Una foresta urbana comporta numerosi servizi ecosistemici, ampiamente dimostrati dalle ricerche scientifiche: riduzione inquinamento (atmosferico e acustico), regolazione del clima, controllo erosione del suolo, ma anche sviluppo della biodiversità e miglioramento della qualità della vita.
Forestare lo spazio urbano non richiede soltanto la disponibilità di piante, ma anche delle persone che se ne prenderanno cura nella prima fase della loro crescita. Al di là dei confini amministrativi del Comune di Bologna, l’associazione Resistenza Terra sta realizzando, dal 2017, il bosco diffuso di pianura coinvolgendo attivamente gli abitanti. Questo significa costruire momenti collettivi educativi e di sensibilizzazione, e poter immaginare la forestazione come pratica collettiva che ne abbatte i costi economici. A partire dalla loro esperienza, a Bologna vogliamo che ogni spazio disponibile possa diventare foresta.
Immaginare foreste urbane significa:
- costruire un vivaio sociale diffuso e collettivo per far crescere le piante che saranno messe a dimora nei nostri spazi urbani.
- mappatura dal basso dello spazio pubblico forestabile, coordinata con quella sullo spazio urbano desigillabile.
- organizzare giornate di messa a dimora di nuove piante nello spazio urbano.
- promuovere il Talea Crossing per lo scambio libero di talee.
- diffondere spazi liberi dall antropizzazione: zone riapproriate dalla vegetazione, dove gli interventi saranno ridotti al minimo per lasciare che la natura “faccia il suo corso”.
- avere prati fioriti: “l’erba alta” viene vista come un segno di abbandono, in realtà lasciare una zona a sfalcio ridotto (circa 3 all’anno) ha un elevato valore ecosistemico per i servizi che comporta come la filtrazione delle acque, il fissaggio del carbonio e il supporto per gli impollinatori.
- costruire laboratori collettivi di forestazione: la piantumazione di alberi può essere un importante momento collettivo nel quale costruire metabolismi tra natura e cultura. Questi laboratori possono essere costruiti nelle scuole, per coinvolgere i bambini nella crescita delle foreste urbane, e negli spazi sociali e collettivi, per coinvolgere le abitanti.
- promuovere la conoscenza della vegetazione che vive a Bologna, attraverso trekking urbani.
Primo progetto speciale: la Foresta Urbana Alimentare
La FUA è una coltivazione multifunzionale in cui possiamo trovare alberi da legno, piante da frutto, erbe medicinali e officinali, bacche e ortaggi in sinergia con le piante spontanee e la fauna che vive questo particolare habitat. Un esempio interessante è la Picasso Food Forest di Parma.
Questa tipologia di progettazione integra le funzioni naturali di una foresta con le funzioni alimentari, ispirandosi ai principi della permacultura. All’interno di contesti urbani, oltre alla produzione di cibo, la FUA può diventare un fondamentale hotspot urbano di biodiversità per la fauna e la flora, grazie alla realizzazione delle sue diverse componenti. Il progetto di piantumazione vuole imitare l’ecosistema di un bosco immaturo, seguendo il modello descritto da Martin Crawford. Strutturando in questo modo si crea un sistema autoperpetuante, grazie alle piante perenni o auto-seminanti attive, auto-concimante, perché gli alberi con le radici più profonde rendono disponibili i minerali nel sottosuolo anche alle piante vicine, capace di auto-pacciamatura e di controllare le piante “infestanti”, grazie allo strato di copertura.
La progettazione che intendiamo seguire si sviluppa su sette livelli diversi:
- livello degli alberi “alti” sopra i 9 metri: possono svolgere funzione di azoto-fissatori come Prunus avium (ciliegio) e Juglans regia (noce)
- livello degli alberi “bassi”, tra i 3 ed i 9 metri: qui possono essere inclusi la maggior parte degli alberi da frutto. Ad esempio, Diospyros kaki (cachi o kaki), Malus domestica (melo), Prunus armeniaca (albicocco) e Pyrus communis (pero)
- livello degli arbusti, ovvero piante legnose fino a 3 metri, che possono essere da frutto o avere un importante ruolo di azoto-fissatori come Ribes rubrum (ribes rosso), Rosa canina (rosa canina), Rubus ulmifolius (rovo comune)
- strato erbaceo: si tratta di piante di natura spontanea nei prati del nostro territorio, alcuni esempi sono Achillea millefolium (achillea millefoglie), Calendula officinalis (calendula), Heliantus annuus (girasole comune), Cynara cardunculus scolymus (carciofo), e Borago officinalis (borragine). Possono essere piante annuali, biennali o perenni, tutte presentano un grande interesse gastronomico e medicinale, ma soprattutto ecologico. Alcune producono grandi quantità di materiale organico, che poi può essere riutilizzato all’interno della FUA, altre sono azoto-fissatrici, altre ancora forniscono habitat e cibo per insetti impollinatori e predatori di parassiti
- strato di copertura: qui troviamo nuovamente alcune piante erbacee, scelte specificatamente per la loro natura strisciante e di celere propagazione. L’obiettivo è creare uno strato di protezione dai raggi solari, per insetti e suolo, ma anche di arricchire quest’ultimo con sostanze utili. Ad esempio, piante di Malva sylvestris (malva selvatica), Fragaria vesca (fragola di bosco) e Trifolium pratense (trifoglio dei prati).
- strato sotterraneo: piante che svolgono funzioni di miglioramento strutturale e decompattazione del suolo grazie alla loro capacità di sviluppare importanti apparati radicali, tuberi o bulbi. Troviamo piante di Allium cepa (cipolla), Heliantus tuberosus (topinambur) e Armoracia rusticana (rafano o cren). In questo strato è essenziale anche il ruolo dei funghi, i quali, secondo recenti studi, attraverso i miceli hanno un ruolo fondamentale nella formazione di una vasta rete sotterranea di scambio/trasposto per i nutrienti (Wood Wide Web)
- livello delle rampicanti: questa tipologia di piante permette di aggiungere produttività sugli strati già presenti e si sviluppa su più altezze. Alcuni esempi sono Actinidia deliziosa (kiwi o kivi), Humulus lupulus (luppolo) e Vitis vinifera (vite comune)
Altri elementi da aggiungere sono le stazioni di compostaggio e lombri-compostaggio, per la generazione di humus, e rifugi per animali, come l’hotel per gli insetti e cataste di legno morto per gli organismi saproxilici. La presenza di queste componenti funge da sostegno per la biodiversità, creando importanti nicchie ecologiche.
Secondo progetto speciale: orticoltura collettiva
Le aree pubbliche destinate all’orticoltura sociale sono sottodimensionate rispetto alle reali esigenze, tanto che le liste d’attesa sono lunghissime, e possono durare decenni. Inoltre, l’orticoltura urbana attualmente praticata a Bologna riproduce il meccanismo del piccolo appezzamento individuale. Senza nulla togliere a questa pratica, vogliamo sperimentare forme di orticoltura collettive, nelle quali le piante da mettere a dimora, le pratiche da utilizzare, la distribuzione dei compiti e dei prodotti, sia costruita attraverso forme collettive. Per questo, vogliamo:
- creare il giardino delle piante aromatiche a disposizione di tutte;
- sperimentare una forma sociale e collettiva di orticoltura urbana articolata nelle seguenti fasi: 1) adesione al progetto; 2) formazione; 3) scelta collettiva dei prodotti e delle pratiche di orticoltura; 4) suddivisione delle mansioni e del raccolto, con una percentuale di quest’ultimo destinata a progetti sociali attivi in città.
Come abbiamo già visto nel paragrafo dedicato alla Climate Justice University, le conoscenze e i saperi condivisi sono alla base delle azioni appena descritte. Le competenze già a disposizione di questo processo attraversano, pur non esaurendosi qui, queste tematiche: crisi climatica e modellazione; alluvioni ed eventi estremi; acqua e biodiversità; progettazione urbana; sociologia urbana e rurale; arte e cultura per le transizioni dal basso
Per questo, intendiamo costruire la Scuola Permanente delle Ecologie Urbane, articolata nelle seguenti attività:
- prosecuzione della Climate Justice University: percorso di formazione e condivisione sui temi della giustizia climatica e sociale e dedicato prevalentemente a studentesse e studenti universitari. Ogni edizione della Climate Justice University si articola in 4 workshop a Bologna, e di una Summer School di tre giorni nell’appennino bolognese
- inchiesta interdisciplinare dal basso su Bologna e su tematiche legate alla giustizia climatica. Ogni anno, a settembre, il comitato scientifico e tutte coloro che vogliono partecipare sceglieranno collettivamente il tema e definiranno le metodologie di ricerca. Da ottobre ad aprile si svolgerà l’inchiesta, anche con il coinvolgimento di studentesse e studenti. A maggio di ogni anno saranno presentati i risultati dell’inchiesta (instant book, presentazione pubblica, …).
- creazione dell’Hub delle conoscenze sulle acque per affrontare, attraverso seminari, incontri pubblici e workshop, i temi legati al dissesto idrogeologico del territorio.
- Corsi di orticoltura urbana per diffondere buone pratiche e conoscenze.
- Laboratori e attività per bambine e bambini
- Corsi di cucina
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La Scuola permanente delle Ecologie Urbane supporterà le azioni sopra-descritte con attività formative e divulgative ad hoc, grazie all’ampio network disponibile. Inoltre, la Scuola permanente delle Ecologie Urbane promuoverà mostre, seminari, presentazioni di libri (nel già testato formato ‘Books for Climate Justice’), proiezioni.
L’obiettivo di questa azione è l’attivazione di uno spazio collaborativo, attraversabile e produttivo all’interno della foresta delle ecologie urbane. Si tratta di un luogo dove la progettazione e l’autoproduzione si intrecciano per reimmaginare la città con sensibilità ecologica e uno sguardo orientato al cambiamento, attraverso la creazione di un laboratorio permanente di idee, pratiche e costruzioni, capace di offrire spunti e soluzioni per il contesto urbano dell’area attraverso processi aperti e inclusivi, favorendo l’incontro tra progettazione partecipata, ricerca ecologica e azione concreta.
Il primo asse di lavoro prevede l’attivazione di uno spazio laboratoriale aperto, dedicato alla progettazione e alla realizzazione di strutture in legno funzionali alle attività del luogo. Questo laboratorio sarà anche una base operativa per interventi di architettura tattica da diffondere in altri contesti cittadini, promuovendo un’idea di città come organismo in evoluzione continua.
Parallelamente, verranno organizzate giornate di formazione sulle tecnologie del legno, sulla silvicoltura responsabile e sulla filiera produttiva. I partecipanti potranno approfondire tecniche di lavorazione e produzione di semilavorati, acquisendo competenze di base in falegnameria. L’obiettivo è quello di ampliare la comunità di pratiche coinvolte, rendendo sempre più capillare la rete di soggetti capaci di immaginare e costruire nuove architetture temporanee.
Nel corso dell’anno saranno inoltre pianificate tre settimane tematiche di divulgazione e confronto, dedicate a esplorare i rapporti tra natura, città e antropizzazione dei territori. Tra i temi affrontati: il “terzo paesaggio” come opportunità progettuale, gli approcci di design decoloniale, la progettazione sistemica e le intersezioni tra critica sociale, ecologia profonda e processi incrementali di trasformazione urbana.
L’intero percorso sarà arricchito dal contributo di una rete di collaboratori già attivi: progettisti, studiosi urbani, artisti e attivisti ecologici che porteranno competenze ed energie diverse, in un processo di costruzione condivisa orientato a fare della caserma un laboratorio vivo di sperimentazione urbana.