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Boschilla

Come collettivo e associazione da anni proviamo a studiare, raccontare e attraversare l’Appennino e le aree interne italiane, convinti che questi siano atti prettamente politici che comportano una scelta di campo e un preciso posizionamento politico. Occuparsi di montagne all’interno della crisi socio ambientale che viviamo quotidianamente richiede uno sguardo differente e dei linguaggi che prendano le distanze dalle facili retoriche che negli ultimi decenni hanno monopolizzato la rappresentazione delle terre alte. Le cosiddette aree interne italiane costituiscono circa il 70 per cento di tutto il territorio nazionale e ospitano ⅓ della popolazione che vive in Italia ma nonostante ciò sono considerate marginali e dunque vengono marginalizzate. Un processo storico, frutto di precise scelte politiche, per niente un destino ineluttabile, un modello di sviluppo industriale e urbanocentrico che dal secondo dopoguerra in poi, soprattutto, ha investito questi territori con gli effetti che ben conosciamo: lo spopolamento, l’emigrazione, la rarefazione sociale e produttiva, l’abbandono della terra, la vulnerabilità idrogeologica e le trasformazioni del paesaggio con un forte smantellamento e allontanamento dei servizi.

Parlare di montagne e terre alte oggi significa dunque innanzitutto mettere in discussione questo modello e contrastarlo. Significa legare la questione ambientale a quella delle cosiddette aree interne, significa collegare il discorso sulle disuguaglianze  economiche e sociali a quello sulle disuguaglianze territoriali con la consapevolezza che i problemi delle aree interne non possono essere risolti applicando lo stesso modello che le ha marginalizzate.

Senza cadere in facili romanticismi, siamo dunque convinti che le aree interne e montane possano essere (e lo sono già) un importante terreno di sperimentazione di pratiche politiche, culturali, economiche in grado di rispondere alla crisi del presente parlando di giustizia climatica e sociale. Per far ciò è necessario riconsiderare le relazioni tra centro e periferia; reclamare la partecipazione delle comunità (umane e non); riabilitare la forza economica dei sistemi locali, rurali e agroforestali; riattivare il senso dei beni comuni e collettivi; rivendicare diritti essenziali come istruzione, salute, mobilità, lavoro;  mettere al centro la cura del territorio, il rapporto con la natura e l’ambiente;  uscire dalla logica dei numeri che definiscono la salute dei territori esclusivamente con criteri economici.

Territori feriti e marginalizzati dal processo di sviluppo novecentesco che rischiano ancora adesso di incappare nelle stesse trappole del passato. Oggi, infatti, le aree montane sono soggette a nuove forme di estrattivismo e di messa a valore: nuovi mega impianti sciistici, estrazione di risorse ai danni dell’ambiente e della biodiversità, costruzione di grandi opere che portano profitti solo ai privati, spesso celate da processi di greenwashing; mercificazione e turisticazione di territori che hanno come esito l’allontanamento e l’espulsione delle comunità. 

Le montagne non sono il “parco” o l’area protetta da tutelare, non sono un luogo altro rispetto alla città. C’è il rischio così facendo, ancora una volta, di ridurre la soggettività delle comunità locali, farne oggetto di studi calati dall’esterno, destinatarie di ricette belle pronte. Le montagne sono il luogo di vita e di lavoro delle popolazioni che vi risiedono ed è necessario abbandonare questa visione dicotomica del territorio costruendo un dialogo e una relazione tra luoghi distanti. Le aree interne hanno bisogno di prendere parola sulla questione da un loro punto di vista che spesso è molto diverso da quello urbano e non coincide con l’attivismo cittadino. Una nuova appartenenza comune va costruita concretamente cercando un equilibrio tra tutela dell’ambiente e abitabilità del territorio.

Da anni cerchiamo di parlare di Ecologia Politica in Montagna che porta con sé tutte queste considerazioni brevemente accennate ed è per questo motivo che aderiamo entusiasti al Climate Pride di Bologna del 12 aprile.